È da ieri che, nell’ambito della maxi inchiesta che sta scuotendo la politica ligure, è arrivata una nuova misura cautelare per il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Il governatore, già agli arresti domiciliari dallo scorso 7 maggio con l’accusa di corruzione, dovrà rispondere ora anche di finanziamento illecito. Il presunto accordo si sarebbe realizzato attraverso spot elettorali per la Lista Toti per Bucci pagati, secondo l’accusa, “sottobanco” da Esselunga (ipotesi smentita dall’azienda) e proiettati sul maxischermo di Terrazza Colombo.
Ma cosa prevede esattamente la normativa che regola i finanziamenti ai partiti? Le carte dell’inchiesta, nelle premesse, spiegano che la legge vieta ogni finanziamento da parte di società con partecipazione pubblica superiore al 20% (o le loro controllate) indirizzato ai partiti, alle loro articolazioni e ai gruppi parlamentari (cosiddetto finanziamento illegale pubblico). Stessa cosa anche per le aziende con partecipazione pubblica uguale o inferiore al 20%, nei casi in cui questa partecipazione assicuri comunque al soggetto pubblico il controllo della società. Chi corrisponde o riceve contributi andando contro queste norme, secondo la legge 195/1974 è punito con la reclusione fino a 4 anni e con multe fino al triplo delle somme versate. Ma non è questo il caso.
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Per quanto riguarda le società private, invece, i finanziamenti sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, in favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative sono consentiti, ma ci sono due regole che devono entrambe essere rispettate. Innanzitutto, i contributi devono essere deliberati dall’organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio. E poi, nel caso di erogazione superiore a 3mila euro all’anno, chi eroga e chi riceve sono obbligati a farne una dichiarazione congiunta, sottoscrivendo un documento unico da depositare alla presidenza della Camera dei Deputati. La normativa, disciplinata dalla legge 659/1981, si estende anche ai membri del Parlamento italiano, europeo ai consiglieri regionali, provinciali e comunali, a coloro che rivestono cariche di presidenza, segreteria e direzione politica e amministrativa a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale nei partiti politici. Inoltre comprende i finanziamenti e i contributi in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente.
Un esempio? Le carte ricordano che “è stato ritenuto integrato il reato di illecito finanziamento ai partiti anche nel caso di contributo erogato da una società e consistito nel pagamento, non regolarmente deliberato né iscritto in bilancio, di una fattura relativa alla pubblicazione di un libro di un consigliere provinciale candidato al parlamento nazionale”.
Insomma, una disciplina che si fonda “sulla necessità di garantire la trasparenza e la tracciabilità delle fonti di finanziamento dei partiti politici” sia all’interno della società finanziatrice (con la delibera dell’organo sociale competente e l’iscrizione in bilancio) sia all’esterno perché il soggetto finanziato deve dichiarare l’importo ricevuto con dichiarazione congiunta. Ricapitolando, a una società privato a oggi è consentito finanziare, direttamente e indirettamente e sotto qualsiasi forma, la politica a condizione che questi versamenti siano trasparenti e tracciati. Cosa che, secondo l’accusa, nel caso di Esselunga – che nega di aver finanziato la politica, anche in base al proprio codice etico – non sarebbe avvenuta, con una cifra che sarebbe stata destinata a pagare gli spot non del supermercato bensì, in realtà, della lista Toti per Bucci.
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